venerdì 7 marzo 2008

Al mercoledì il cinema costa di meno: "Non è un paese per vecchi" (di Fabio Orrico)

Un piccolo paradosso: avrei voluto che “Non è un paese per vecchi” fosse stato girato da un regista con meno ambizioni e meno talento dei Coen. Uno che sappia fare fruttare una bella storia ma poco incline a metterci del suo. Merce rara al giorno d’oggi. Ecco, diciamo un redivivo Henry Hathaway o magari un nuovo Robert Mulligan. Non voglio essere ingeneroso con i due geniali fratellini. In effetti loro non fanno altro che seguire il canovaccio che un librettista d’eccezione come Cormac McCarthy (scrittore che, lo sapete, nel cuore di questa discarica regna incontrastato) gli sottopone, riservandosi solo la licenza poetica di un caschetto sulla testa del robotico Anton Chigurg alias Javier Bardem. E siamo arrivati alla mia unica riserva: perché quel taglio di capelli? Nell’opera di McCarthy Chigurg è un personaggio archetipico. Suoi fratelli sono il giudice Holden di “Meridiano di sangue” e il Lester Ballard di “Figlio di Dio”. Questi personaggi non sono semplici villain. Sono il male puro. Onnipresenti, indistruttibili, inclini a una filosofia distorta e a una logica deforme. Non solo non dovrebbero portare un caschetto come quello sfoggiato da Bardem nel film ma non dovrebbero quasi avere tratti somatici. Il taglio di capelli del Chigurg di celluloide lo apparenta molto di più a Tarantino che a McCarthy e introduce una nota di grottesco che sparge un po’ di scivoloso olio sulla tranquilla strada del film, peraltro gratificato, come si sa, da svariati oscar (e uno puntuale a Javier belli capelli). Detto questo, la scena del dialogo fra lo sceriffo Bell interpretato dal sempre grande Tommy Lee Jones e l’amico paralitico è semplicemente splendida e, grazie alla fotografia del geniale Roger Deakins, i Coen ci regalano alcune delle più belle inquadrature del cinema moderno. Capita spesso, in questo film, che le persone trapassino dalla carne all’ombra. La loro fisionomia si radicalizza e disperde fino a diventare appunto, ombra. Ombre che parlano sullo sfondo di città e deserti irreali, loro stessi doppi fondi di una tragedia già consumata. È con questa sapiente economia dell’immagine che i Coen rendono giustizia a Cormac. Non con quel maledetto taglio di capelli.