sabato 6 ottobre 2007

Il nome giusto

Eccolo la il reggicalze… ora la mise era perfetta. Si guardava allo specchio mentre pettinava i lunghi capelli rossi con la calma languida di quando si gode il gesto. Le piaceva il riflesso lucido dei capelli che si imprigionava e liberava continuamente nello specchio. Le rughe c’erano, inutile negarle, coprirle, appianare la faccia con l’asfalto morbido dei trucchi. Del resto le donavano un po’ i segni sul viso, le occhiaie erano ancora ad un livello di ampia fascinazione. Si chiedeva quando da un giorno all’altro le avrebbe trovate repellenti. Quando una ruga da strumento di fascino diventa indicatore di riserva, di benzina in esaurimento? Ed è solo la profondità nella pelle? Il mistero del suo volto continuava ad estasiarla. Intanto aveva pensato il nome giusto. Quella sera il nome giusto era Mario. Se lo sentiva. Da circa un mese si divertiva in questo gioco. Sceglieva a priori il nome dell’uomo giusto per la serata e si imponeva di non concedersi ad altri che a quel nome e al corpo che portava in consegna. Da circa un mese dunque falliva piacevolmente le promesse che si prefiggeva. Quella sera se lo sentiva, avrebbe trovato un Mario capace di farla divertire.
Finito allo specchio completò la vestizione con una giacca di pelle nera che le copriva a malapena la pancia, si diede un’ultima occhiata prima di uscire e si avviò alle scale. La primavera stava esplodendo e le strade erano piene di giovani trasportati come pollini dall’aria tiepida. Dopo due Andrea, un Marco, un Graziano e un Loris, si arrese al primo Riccardo che le capitò, ammaliata dal portamento un po’ sgraziato e dagli occhioni neri color caffè 100% miscela arabica. Si fece condurre da Riccardo in un posto fresco, così le disse. Dopo aver armeggiato un po’ con degli strumenti che lei non aveva mai veduto, Riccardo riuscì ad aprire la saracinesca e la porta della vecchia macelleria di via Mezzofanti. Si distesero sui banchi gelidi e fu presa tra quarti di bue ancora freschi e costicce gia pronte per il giorno dopo. Per essere un Riccardo se la cavava bene pensò. I fanali delle macchine in strada illuminavano di tanto in tanto la scena. Mentre si stava rivestendo sentì quello strano formicolio, forse svenne. Non riuscì mai a capire probabilmente di essere stata sventrata e appesa alla parete come un quarto di bue gocciolante. L’unica cosa che riusci a pensare fu. “Riccardo non è proprio il nome giusto”.

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