Sono da poco usciti due libri diversamente interessanti. Hanno in comune il merito di avere ispirato due grandi film: mi riferisco a "Non si uccidono così anche i cavalli?" di Horace McCoy (da cui l'omonimo film di Sydney Pollack) e "I guerrieri della notte" di Sol Yurick (versione cinematografica griffata Walther Hill) e, notizia che ai più non interesserà, sono due titoli che l'estensore del presente pezzo aspettava con ansia da anni. Ebbene, il libro di Yurick non mi è piaciuto granché. Mi è sembrato un dramma sociale afflitto da scarso mordente e da molta retorica. Se aggiungete la postfazione dell'autore in cui si demolisce il capolavoro di sua maestà Walther potete immaginare come la guerra tra me e Sol sia ormai dichiarata. Quindi, se permettete, parliamo di Horace, del quale circola da anni un prezioso Einaudi dal titolo "Un bacio e addio" gran noir che comunque non raggiunge le vette di acuminato dolore e limpida amarezza di questo "Non si uccidono così anche i cavalli?": La storia si dipana in un lungo flashback. Robert Syverten narra in prima persona il suo incontro con Gloria Beatty, come lui in cerca di fortuna a Hollywood. Senza soldi e senza prospettive, soli, decidono di unire delusioni e guai e iscriversi a una maratona di ballo col miraggio di guadagnare i mille dollari di premio e, perché no, essere notati da qualcuno che conta nel corso della manifestazione. La competizione diventa ben presto un gioco al massacro. Robert e Gloria, e come loro altri disperati, ballano fino a sfinirsi sotto gli occhi di una giuria mostruosa e distratta, moderni gladiatori incitati da una folla come loro abbruttita dalla fame e dalla miseria e bisognosa di un po' di adrenalina per tirare avanti decentemente. L'esito sarà tragico.
A "Non si uccidono così anche i cavalli?" sta molto stretta l'etichetta di romanzo noir che campeggia sulla bella copertina. Se proprio vogliamo trovargli una collocazione, allora McCoy figura meglio insieme al Nathanael West del "Giorno della Locusta" e al grande Fitzgerald dei bellissimi racconti di Pat Hobby o, perché no, al John Fante dei "Sogni di Bunker Hill". Tutte storie della mecca del cinema negli anni '30, di disillusioni e amarezze, di sconfitte e morte. McCoy, ingiustamente rinchiuso nel ghetto del genere, non è inferiore ai nomi citati. Moltissime le suggestioni partorite da questo romanzo. La storia è raccontato da un uomo che sta per morire e in dissolvenza vediamo apparire un paio di capolavori (e precisamente "La fiamma del peccato" e "Viale del tramonto") del peso massimo Billy Wilder (e non è peregrino riferirsi al cinema in un romanzo hollywoodiano dove a un certo punto fa capolino una "guest star" di nome Frank Borzage e in cui si parla di King Vidor e Rouben Mamoulian!), l'affresco dell'america post-grande depressione è agghiacciante come e più delle migliori pagine di Steinbeck e Caldwell e il grande circo messo in scena dagli organizzatori della maratona di ballo è una bella e terribile immagine simbolo, capace di sintetizzare il grande carnevale americano. Sulla stessa pista si muoveranno il Robert Altman di "Nashville" e il Peckinpah de "L'ultimo buscadero" (nella bellissima scena della parata che precede il rodeo), per non parlare della lungimirante anticipazione della febbre da reality show che ormai sembra aver contagiato tutto il mondo che si vuole civile.
domenica 9 dicembre 2007
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